Traduzione a cura di Daniel Iversen

Lo studio è stato – e rimane – niente se non una controversia tra economisti che dubitano delle sue previsioni e screditando l’idea di imporre dei limiti alla crescita economica.
Il ricercatore australiano Graham Turner negli ultimi anni ha esaminato i presupposti dello studio in modo dettagliato e apparentemente, i risultati della sua ricerca, sono in linea con le predizioni del rapporto, secondo il Smithsonian Magazine. “Il mondo è sulla buona strada verso il disastro” dice la rivista.
Lo studio, inizialmente completato al MIT, si basava su alcuni modelli informatici di trend economici, e stimò che, se le cose non fossero cambiate molto e gli esseri umani avessero continuato a consumare risorse naturali a ritmo elevato, si sarebbe arrivati al punto della fine del mondo. Il petrolio avrebbe raggiunto il picco (alcuni dicono che sia già avvenuto) prima di scendere in picchiata dall’altra parte della curva a campana, eppure la domanda di cibo e servizi avrebbe solo continuato a crescere.
Turner dice che i dati del mondo reale dal 1970 al 2000 che sono stati tracciati dalle previsioni draconiane dello studio: “Sta suonando un campanello d’allarme molto chiaro. Non siamo sulla traiettoria della sostenibilità” spiega a Smithsonian.
E’ impossibile rimediare a tutto questo? No, secondo entrambi gli studi, il primo e quello di Turner.
Se i governi adottassero tecnologie e politiche più rigorose, ciò potrebbe essere d’aiuto per ridurre il nostro impatto ambientale, la crescita economica non deve essere per forza una “nana bianca” del mercato, che marcia verso una implosione inevitabile. Il modo in cui farlo però è un altro paio di maniche.
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